Monserrato è un popoloso comune (poco più di 19.300 abitanti, monserratini o paules,i con una densità pari a 3 008,86 ab./km²) praticamente conurbato con il capoluogo Cagliari.
Il nome sardo della cittadina è Pauli o Paulli e significa palude. L’attuale nome, istituito con Regio decreto e per volere del Consiglio comunale l’11 aprile 1888 è un chiaro omaggio alla Madonna di Montserrat, patrona della Catalogna.
Passeggiando per il suo antico centro urbana si possono tutt’ora ammirare le tipiche case campidanesi edificate in “ladini” (dei mattoni crudi costituiti da paglia e fango) e tufo, con gli imponenti “portalis” in legno (portoni) arricchiti da intagli, superbe e pregevoli “lolle” (ampi loggiati)
Un tempo terra di vigneti, Monserrato, ospita ancora la più antica Cantina sociale della Sardegna (le Cantine Pauli’s dal 1924).
Qui, oggi come ieri, venivano lavorate le uve per la produzione di pregiati vini sardi quali Cannonau, Vermentino, Monica, Nuragus, Moscato e Nasco.
Uscendo dal centro, praticamente al confine con la città si sviluppano la Cittadella Universitaria ed il Policlinico di Monserrato, fiore all’occhiello della Sanità regionale.
Il comune di Monserrato si sviluppa nella vasta pianura del Campidano, nel sud Sardegna, in prossimità dello stagno di Molentargius e delle saline (un’ un’area naturale considerata tra le zone umide più pregevoli d’Europa). Attualmente è uno dei diciassette comuni della ex Provincia di Cagliari che compongono la Città Metropolitana.
Prima di riacquistare, all’inizio degli anni Novanta, la sua autonomia, il suo territorio comunale misurava 1.137 ettari contro i 650 ettari attuali, in quanto è stato privato della piana di San Lorenzo. La cittadina confina con i comuni di Cagliari, Quartucciu, Selargius e Sestu.
Il territorio comunale presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate.
Monserrato non ha sbocchi diretti sul mare. Tuttavia, a pochi km si può trovare il litorale di Quartu Sant’Elena, con la spiaggia del Poetto e il meraviglioso Golfo degli Angeli.
Come tutti i paesi del Campidano, anche Monserrato può contare su una ricca e variegata tradizione enogastronomica.
Da provare i semplici, ma gustosi malloreddus, una sorta di gnocchetti di grano duro, portati in tavola con ragù e salse. Se sulle tavole di tutti i giorni si possono gustare con pecorino e salsiccia, nelle occasioni speciali li si possono trovare con vongole, pomodorini e bottarga).
Menzione d’onore la meritano anche i prodotti da forno. Oltre al classico pane Carasau, si si possono trovare i forse meno noti: Civraxiu (pane della tradizione contadina di grossa pezzatura, dalla crosta di colore bruno dorato e dalla pasta ben lievitata; Coccoi (pane dalla crosta dorata e croccante e dalla mollica soffice, ma compatta e dall’alveolatura fitta e minuta.
La ricetta originale prevede che venga preparato solo ed esclusivamente con semola di grano duro – rimacinata o no – e lievito madre o frammentu, poca acqua e un po’ di sale).
Pani de is sposus (è il pane decorato a pasta dura di semola di grano duro, delle grandi occasioni); Moddizzosu (un pane morbido preparato con semola di grano duro e lievitazione naturale, si caratterizza per la singola cottura in forno a legna); e Pani cun s’ou (un pane di semola e lievito madre decorato in maniera originale, utilizzando forbici o particolari coltellini. Viene portato in tavola a Pasqua). Una menzione particolare merita il panificio a Monserrato il Fornaio Congiu, ottimo pane secondo le migliori tradizioni locali.
Su Gateau, Sa Arrosa e Mìndula (la rosa di mandorla), Pastissus, Is Candelaus, Ossus de mortu e Su pani’ e saba (Pane di sapa), invece sono i dolci sardi più tipici della zona.
Cannonau, Vermentino, Monica, Moscato e Nuragus, infine, sono i vini del territorio.
Monserrato ha un proprio costume. Tuttavia, nel corso dei secoli, ha subito profonde metamorfosi e, oggi, è quasi impossibile individuare, con precisione, il modello originario.
Le documentazioni iconografiche in possesso di storici e addetti ai lavori non per consentono di risalire alla foggia originaria, poiché in passato vi è era la consuetudine di vestire i defunti con gli abiti più belli. Gli esemplari più unici e pregevoli, dunque sono andati persi.
Notevoli erano gli abiti tipici femminili che rispecchiavano con rigore la gerarchia sociale. Durante le occasioni più importanti e formali le ricche proprietarie terriere indossavano “su fordallinu”. Il termine deriva da “farda” o “fordali” ossia falda, larga striscia che guarnisce la gonna. La mise era completata da “sa camisa” (la camicia) – impreziosita nel volant del collo e delle maniche, con ricami o pizzi all’uncinetto o ad ago – “sa scuffia” – copricapo di raso per tradizione color rosso magenta – “su froccu de velluttu” – una fascia di velluto nero con frange dorate ricadenti ai lati del viso – “sa lazzada” o “cinta de oru” – una cinta di gallone d’oro – “su sinzu” – un corsetto di broccato o di velluto – “su velu” – il tipico velo di tulle ricamato interamente a mano – e “is bottinus” – le scarpe realizzate da abili artigiano calzolai locali .