La cucina sarda può vantare un vasto, e goloso, repertorio di dolci tradizionali.
Si tratta di un insieme estremamente variegato frutto dell’incontro tra la cultura agropastorale del territorio e altre civiltà del mediterraneo, prime fra tutte quella araba e quella spagnola.
Le Sebadas sono originarie di Nuoro e dell’Ogliastra settentrionale sono uno dei dolci sardi più conosciuti.
Chiamate anche sevada, savada e sevata, questi dolci si presentano come dei tortelli fritti ripieni di pecorino e guarniti con miele di castagno.
Le Sebadas, con ogni probabilità, non nacquero come dessert, ma come piatto unico.
L’involucro di pasta violata, infatti, costituiva un’eccellente fonte di carboidrati, mentre il ripieno di formaggio forniva una giusta quantità di grassi e proteine.
Secondo alcuni fonti, sarebbero legate alla cultura spagnola – per secoli, la Sardegna, è stata dominata dagli spagnoli – ma non si esclude che il loro nome derivi latino sebum che richiama la radicata abitudine di usare grasso animale (su seu, in sardo) nella preparazione.
Come tutti i dolci tradizionali sardi, esistono diversi tipi di seadas, che cambiano leggermente a seconda delle aree geografiche sia negli ingredienti che nel ripieno.
Di base c’è sempre la pasta violata (o violada), realizzata con semola di grano duro e strutto o, più raramente, con semola e olio d’oliva.
La pasta viene preparata unendo allo strutto nella proporzione di 20 grammi di strutto ogni 100; la lavorazione manuale prevede tempi piuttosto lunghi, dato che va schiacciata, tesa, ripiegata e così via fino ad aver ottenuto la consistenza ideale: liscia, omogenea ed elastica.
. Ciò che differenzia maggiormente le sebadas è il formaggio usato:
• Pecorino fresco, che conferisce un gusto leggermente più pungente
• Formaggio di mucca fresco, con cui si ottiene un ripieno più delicato. Di solito a pasta filata e latte crudo, come il casizolu o la panedda
• Ricotta fresca
Il formaggio delle sebadas deve essere rigorosamente fresco, dal sapore delicato e non forte.
Anche il miele scelto, in questa particolare preparazione, riveste un’importanza notevole!
Il più utilizzato, come già accennato, è quello di castagno.
Tuttavia, è possibile optare per una qualsiasi altra varietà. Tra le alternative più utilizzate ci sono quello di corbezzolo, quello di asfodelo o di cardo.
Infine, cambiano le eventuali aggiunte nel ripieno, che possono trasformare la seada in un piatto salato:
• Scorza grattugiata d’arancia o di limone
• Eventualmente aggiunta di zucchero
• A volte prezzemolo (nella variante salata)
In Barbagia ( nelle sagre e in particolare durante Autunno in Barbagia, si possono assaporare le sebadas d diverse varietà, a seconda del paese organizzatore) questi grandi ravioli fritti si preparano anche salati e si consumano come piatto unico o come secondo.
Altre varianti dolci invece prevedono l’aggiunta di zafferano nella pasta nella pasta violada.
LA RICETTA DELLA SEBADAS
INGREDIENTI
• Strutto 70 grammi
• Farina di grano duro 500 grammi
• Uova medio 1
• Pecorino fresco 450 grammi
• Scorza di 1 limone
• Miele
Alla base delle Sebadas vi è l’impasto: in una ciotola versate la farina setacciata, poi unite l’uovo intero, versate a filo l’acqua tiepida ed iniziate a lavorare con le mani (in alternativa potete usare una planetaria). Lo strutto va aggiunto poco alla volta, avendo l’accortezza di continuare ad impastare per amalgamarlo.
Quando l’impasto si presenterà compatto al punto giusto, trasferitelo su una spianatoia leggermente infarinata e continuate ad impastare fino ad ottenere un panetto liscio ed elastico.
A questo punto, avvolgete il panetto con la pellicola per alimenti e fate riposare il tutto per almeno 30 minuti.
Nel frattempo potete occuparvi del ripieno a base di formaggio.
Dopo aver grattugiato la scorza di un limone – che per il momento terrete da parte – preparate il pecorino utilizzando una grattugia dai fori piuttosto larghi tipo julienne.
Dopo averlo sistemato in un piccolo tegame, aggiungetevi dell’acqua e scioglietelo a fuoco moderato mescolando di continuo per almeno 10 minuti.
Quando il formaggio sarà sciolto potrete aggiungere la scorza di limone e rovesciare il composto su un tagliere.
A questo punto, vi basterà stenderlo con una spatola e lasciarlo rassodare. Aiutandovi con un coppapasta rotondo del diametro di circa 9 cm ricavate poi una dozzina di dischi; quindi, riprendete il panetto di impasto e stendete – preferibilmente a mano – la pasta fino ad ottenere una sfoglia spessa circa 3 mm.
Sulla sfoglia sistemerete i dischi con il formaggio ben distanziati tra di loro e li ricoprirete con un’altra sfoglia, avendo cura di far aderire la pasta intorno al ripieno (potete premerlo con le dita per evitare le bolle d’aria). Con un coppapasta dai bordi ondulati del diametro di 10,5 cm procedete poi a ritagliare le singole Seadas.
A questo punto, ci si potrà occupare della cottura che avverrà in un tegame dove avrete riscaldato dell’olio di semi.
Le Sebadas andranno immerse una alla volta e cotte per un paio di minuti. Poi le si dovrà scolare con una schiumarola e sistemare su un vassoio rivestito con carta assorbente.
In alternativa potete cuocere le Seadas in forno statico preriscaldato a 180° per 15 minuti, ma il risultato sarà meno fragrante rispetto alla tradizionale frittura.
Prima di servire (ancora calde) guarnitele con del miele!
Possono essere abbinate a vini sardi molto dolci come la Vernaccia o il Vermentino.
Le Pardulas, chiamate anche Casadinas (o, nel Continente Formagelle) vengono preparate in occasione della Pasqua e si presentano come piccole tortine in una sfoglia di semola e strutto, ripiena di ricotta o formaggio. Secondo alcune fonti, però vi sarebbe un legame anche con il giorno dei morti: si narra infatti che fossero tra i dolci offerti a is animeddas, le anime dei defunti.
In alcuni paesi dell’Oristanese e del Cagliaritano i dolcetti rappresentavano un omaggio a Maria Puntaoru, una sorta di strega appartenente all’immaginario ancestrale sardo.
Le Pardulas sono caratterizzate da una piccola nota esotica, regalata dallo zafferano.
Le versioni esistenti sono numerosissime. Oltre alle Pardulas de arrescottu (di ricotta), esistono delle varianti a base di formaggio fresco di giornata, di pecora o di mucca, più diffuse nel Centro Nord Sardegna. Queste sono chiamate Pardulas de casu o casadinas (da casu, formaggio in sardo).
Spesso presentano una forma più schiacciata ed a volte prevedono un’aggiunta di uva sultanina al ripieno.
In Barbagia, Baronia, Gallura e Logudoro, le casadinas si preparano anche in versione salata, diventando un ottimo antipasto o secondo piatto, a volte profumato alla menta o al prezzemolo. Si chiamano casadinas salidas o salìas e un tempo pare fossero anche di grandi dimensioni.
Il termine pardula sembrerebbe derivare dal latino quadrula, per via della forma vagamente quadrata che è la più diffusa.
Nonostante abbiano una base tonda si usa “pinzarne” i bordi creando (almeno) 4 spigoli simmetrici, per ottenere una sorta di quadratura del cerchio.
LA RICETTA DELLE PARDULE
INGREDIENTI
• Semola 260 grammi
• Strutto 30 grammi
• Ricotta Fresca 500 grammi
• Zucchero Semolato 100 grammi
• Uova 3 tuorli
• Scorza Grattugiata Di Arancia e di limone
• Zafferano In Bustina 1/2 grammo
• Zucchero a velo Q.B.
• Latte Q.B. per spennellare
• Sale Q.B.
Per preparare le Pardulas si deve mettere a scolare la ricotta con grande anticipo (preferibilmente per una notte intera).
Poi, ci si può dedicare ai gusci di pasta: in una ciotola versate la semola e lo strutto, lavorate il composto ottenendo un impasto sbriciolato.
Sempre continuando ad impastare versate l’acqua fino a quando non avrete compattato il tutto.
Il panetto d’impasto andrà poi avvolto nella pellicola e fatto riposare a temperatura ambiente.
Nel frattempo, preparate il ripieno: in una ciotola versate la ricotta che deve essere ben scolata e asciutta, aggiungete lo zucchero e mescolate con una frusta per incorporare i tuorli, la semola, lo zafferano in polvere e la scorza degli agrumi avendo cura di evitare di grattugiare la parte bianca della scorza che è amara.
Amalgamate il tutto con la frusta e conservate in frigo.
A questo punto, riprendete il panetto di impasto e stendetelo con il mattarello cercando di rispettare lo spessore di 1 millimetro, quindi ricavate dei dischetti con un coppa pasta tondo del diametro di 10 centimetri, cercando di copparli molto ravvicinati tra loro.
Ripetete l’operazione almeno una dozzina di volte.
Ponete al centro di ogni disco una cucchiaiata abbondante di ripieno e chiudete i dolcetti pizzicandoli alle estremità con la punta delle dita tutto intorno creando così una sorta di piccoli cestini con 8 punte.
Se i dischetti dovessero seccarsi troppo, spennellateli con poca acqua ai bordi per poter chiudere per bene i dolcetti.
Adagiate le Pardulas su una leccarda rivestita con carta forno e spennellate la superficie con il tuorlo sbattuto unito ad un poco latte.
Cuocete il tutto in forno statico e preriscaldato a 150° per circa 40 minuti. A cottura ultimata, tirateli fuori dal forno, lasciateli intiepidire e poi spolverizzateli con poco zucchero a velo 26.
Le Pardulas sono state inserite nel PAT, l’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali redatto dal Ministero dell’Agricoltura.
Le Turonzos o Arrubiolos sono delle polpettine dolci a base di ricotta o formaggio fresco.
Si friggono, si immergono nel miele caldo e si servono ancora calde ai fortunati ospiti.
Sono tipici del nord della Sardegna e fanno parte dei meravigliosi dolci sardi di Carnevale.
Il curioso nome è legato al colore che questi dolcetti assumono in seguito alla frittura: il termine arrubiu (e le varianti orrubiu o ruju) significa infatti rosso in lingua sarda.
Il dolce infatti, assume questo colore caldo, con l’uso del tuorlo d’uovo e dello zafferano ed il rosso, inoltre, viene ravvivato al momento della frittura.
La ricetta può variare da paese a paese se non da famiglia a famiglia, ma generalmente l’impasto è a base di ricotta, zucchero, farina e scorza di limone o arancia.
Alcuni varianti prevedono l’utilizzo di uova, zafferano e un po’ di acquavite, oppure formaggio fresco anziché ricotta.
LA RICETTA DEI TURONZOS
INGREDIENTI
• Farina 250 grammi
• Ricotta Fresca 250 grammi
• Zucchero Semolato 50 grammi
• Uova 150 grammi
• Lievito In Bustina 12 grammi
• Sale Q.B.
• Scorza Grattugiata Di Arancia
• Zafferano In Bustina 7/8 grammi
Per preparare le Turonzos, per prima cosa si deve lavorare, in una ciotola capiente, la ricotta insieme allo zucchero semolato, fino a ottenere una consistenza cremosa.
Aggiungete l’uovo, la scorza di limone, quella di arancia e la bustina di zafferano e mescolate il tutto.
Poi, versate l’impasto avendo cura di alternare la farina e il latte e di terminare aggiungendo un pizzico di sale e del lievito.
Ottenuto un composto omogeneo, formate delle palline e iniziate a friggerle in padella.
Una volta che si saranno dorate alla perfezione, toglietele dall’olio, e lasciatele scolare su un foglio di carta assorbente fino a farle raffreddare. Prima di servire, guarnite gli arrubiolus con lo zucchero a velo setacciato, lo zucchero semolato oppure il miele.
I ravioli fritti con ricotta, semplici e golosi, sono originari dell’Ogliastra e della Barbagia.
Nati come dolci di Carnevale, oggi si trovano praticamente tutto l’anno. Il loro involucro friabile, sottile sfoglia di pasta violada.
Una variante meno conosciuta, ma comunque molto appetitosa alle mandorle, chiamata anche culingionis de mendula. Una loro particolarità di questi ravioli è la forma a mezzaluna che ricorda gli agnolotti, abbastanza insolita in Sardegna.
Il ripieno, in questo caso, è composto da mandorle, zucchero, scorza di limone arancia o altri aromi, eventualmente anche del liquore.
Si friggono e si servono coperti di miele o zucchero a velo.
LA RICETTA DEI RAVIOLI FRITTI
INGREDIENTI
• Farina tipo 00 125 grammi
• Strutto 12 grammi
• Ricotta Di Pecora o Capra 150 grammi
• Limone ½
• Arancia ½
• Uovo 1
• Miele Q.B.
• Sale Q.B.
• Olio di semi di arachidi per friggere
Una delle tante ricette dei ravioli fritti inizia con la preparazione del ripieno.
Lavate ed asciugate il limone e l’arancia. In una ciotola, poi, mettete la ricotta di pecora avendo cura di unire la scorza grattugiata del limone e l’uovo.
Quindi, mescolate bene e mettete il ripieno in frigorifero fino al momento dell’utilizzo.
Poi, pensate all’impasto. Setacciate la farina e disponetela su una spianatoia; ricordatevi di aggiungere, poco alla volta, un pizzico di sale e circa 60 millilitri di acqua fredda. Incorporate lo strutto a fiocchetti ed impastate con le mani fino ad ottenere un impasto compatto e sodo.
Coprite con un telo e fate riposare per circa un’ora in un luogo tiepido.
Trascorso il tempo del riposo, riprendete l’impasto e stendetelo con un mattarello in sfoglie sottili, di circa 2 millimetri.
Ritagliate dei rettangoli di circa 14 centimetri per 7 centimetri. Poi, disponete il ripieno al centro dei rettangoli di sfoglia e ripiegateli in modo da ottenere dei quadrati.
Sigillate i bordi dei ravioli e rifilateli con una rotella dentellata.
Friggete i ravioli in abbondante olio bollente poi scolateli su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso e fateli raffreddare.
Infine, scaldate il miele a bagnomaria e colatelo sulla superficie dei ravioli. Decorate con filetti di scorza di arancia e limone e servite.
DOLCI CON LE MANDORLE
Gli amaretti sardi, chiamati anche amarettos, sono squisiti dolcetti caratterizzati da pasta di mandorle morbida dentro e croccante fuori, a volte profumata al limone o all’arancia e decorata con granelli di zucchero o con una mandorla intera. Possono essere considerati una variante degli tradizionali biscotti alle mandorle preparati in tutta Italia.
Originari della zona di Oristano si possono trovare oggi in Sardegna.
In passato con gli amarettos si celebravano ricorrenze e feste religiose. Per giorni nelle case si preparavano i dolci, tra una chiacchiera e l’altra. I dolci di pasta di mandorle erano particolarmente stentosusu – richiedevano tanta pazienza – perché l’ingrediente di partenza era il frutto come raccolto dall’albero. Non solo col guscio, ma anche col mallo!
LA RICETTA DEGLI AMARETTI
INGREDIENTI
• Mandorle 450 grammi
• Mandorle amare 110 grammi
• Albumi 5/6
• Zucchero 500 grammi
• Sambuca o altro liquore dolce1 cucchiaio di
• Scorza di limone di un limone
• Zucchero (per la superfice) Q.B.
Nella ricetta può cambiare, influendo notevolmente sul gusto finale, la proporzione tra mandorle dolci e amare.
Per preparare gli amaretti sardi, mettete gli albumi in una ciotola e montateli leggermente, aggiungendo un pizzico di sale. Potete utilizzare anche una planetaria.
Continuando a lavorare il composto con una spatola a mano – ricordatevi di eseguire movimenti dall’alto verso il basso – aggiungete, poco per volta, lo zucchero.
Poi, unite le mandorle tritate, la buccia di limone grattugiata ed il Sambuca (o altro liquore).
Coprite il contenitore con la pellicola e lasciate riposare il composto almeno per due ore in luogo fresco.
Quando riprenderete la ricetta mettete, in un piatto, un po’ di zucchero, quindi, aiutandovi con un cucchiaio prelevate il composto avendo cura di creare delle “palline” che farete poi roteare nello zucchero e disporrete in teglie che avrete foderato con carta da forno.
Procedete, infine, con la cottura –in forno statico preriscaldato a 180° – lasciando cuocere i dolcetti per 15/20 minuti. Per evitare di rovinarli, lasciateli intiepidire prima di rimuoverli dalle teglie.
I Candelaus sono dolci sardi decorati tipici di Quartu e del Campidano.
Eleganti e particolarissimi sono preparati con mandorle, zucchero e fiori d’arancio ed avvolti nella ghiaccia reale (per “Druccis finis”,).
Un tempo non troppo lontano, i prelibatissimi Candelaus accompagnavano quasi esclusivamente i pasti delle cerimonie – battesimi e matrimoni in primis.
Questi dolcetti si possono trovare in un’incredibile varietà di forme: dalla più classica di cestino o scodellina a quella di tronco o cono, fino a quella più elaborata di piccolo animale
LA RICETTA DEI CANDELAUS
INGREDIENTI
• Mandorle 550 grammi
• Zucchero in zollette 500 grammi
• Zucchero semolato 200 grammi
• Albumi 3
• mezzo bicchiere di acqua aromatizzati con fiori d’arancio
• vanillina 1 bustina
La ricetta è molto impegnativa. Per prima cosa, prendete un pentolino, mettete dell’acqua, fatela bollire ed immergetevi le mandorle.
Lasciatele a mollo per una decina di minuti, poi pelatele e tritatele finemente.
Intanto, in un tegame, fate bollire due bicchieri d’acqua e lo zucchero in zollette.
Cuocete il tutto per circa 20 minuti a fiamma bassa, facendo attenzione a non fare caramellare lo zucchero.
Aggiungete al preparato la scorza grattugiata dei limoni, le mandorle tritate, l’acqua di fiori d’arancio e la vanillina.
Fate quindi bollire avendo cura di mescolare il tutto fino a quando tutto il liquido non sarà evaporato.
Quindi, togliere dal fuoco e fate raffreddare il composto.
A questo punto, potete lavorare la pasta ottenuta con le mani e conferirle la forma che desiderate.
Per concludere, preparate la glassa sbattendo gli albumi con 200 grammi di zucchero fino ad ottenere un composto compatto, poi spalmate la glassa sui dolcetti, fateli asciugare e decorate a piacere.
I Pastissus o pastine reali di mandorle sono dei druccis finis a base di pasta di mandole originarie del Campidano. Eleganti alla vista, questi pasticcini sono a tre strati: una sfoglia di grano duro e strutto contiene la pasta di mandorle e indossa un bel vestito bianco di ghiaccia reale, glassa di albumi e zucchero a velo, con sottili motivi astratti in rilievo.
Simili ai Pastissus sono i Copulettas, tipici della zona di Ittireddu e di Ozieri, si presentano meno decorate e spesso addolcite con la sapa (il mosto). Vantano una caratteristica forma a fiore e un ripieno (denominato pistiddu)
I Pistoccheddus sono biscotti croccanti che ricordano i Candelaus.
Con un delizioso ripieno ripieno a base di cremosa pasta di mandorle. Sono preparati, secondo una ricetta molto laboriosa, con strutto, farina di grano duro, pasta di mandorle e zucchero. Originariamente riempivano le tavole della Pasqua, spesso ricoperti di glassa – sa cappa – e per questo chiamati Pistoccheddus incappaus.
Esistono anche i pistocheddus a matza de mindua, dei particolari biscotti friabili e decisamente saporiti, formati da una sfoglia sottile e croccante e un ripieno morbido di pasta di mandorle aromatizzata con scorza di limone e fiori d’arancio.
I Tiriccas (tiricche) o Caschettas sono dei deliziosi dolcetti a ferro di cavallo preparati soprattutto in occasione della Pasqua. Fatti da una sfoglia che racchiude un ripieno morbido che ben si presta alle numerosi varianti locali.
Infatti, pur essendo tipici della Gallura, sono diffusi in tutto il nord dell’Isola. Le ”versioni” più note sono quelle che presentano un ripieno di pasta di mandorle o di nocciole, con miele, scorza d’agrumi e zafferano. Molto diffuse sono anche i Tiriccas con il ripieno alla sapa. Belli ed eleganti, questi dolcetti, possono essere preparati anche in casa, ma richiedono grande manualità.
I Gueffus (chiamati anche guelfus, guelfos o sospiri sardi)sono golosi bon bon di pasta di mandorle fatti di mandorle dolci tritate, zucchero e limone. Si presentano come caramelle e, generalmente, vengono avvolte nella carta velina. dimensioni sono variabili, e in alcune zone della Sardegna invece della copertura di zucchero, troviamo un rivestimento di glassa reale: in questo caso, prendono il nome di gueffus incappaus. Le origini di questo dolcetto delle feste è ignota. Non si esclude, che siano eredità della dominazione spagnola. La parola gueffus, infatti, potrebbe derivare dal termine huevos, che in spagnolo significa uovo, un chiaro richiamo alla loro forma.
Possono essere considerati fratelli dei famosi Sospiri di Ozieri, delle praline sempre a base di mandorle, che però prevedono l’aggiunta del miele nell’impasto e, soprattutto, vengono passati al forno per farli asciugare e infine ricoperti con una glassa di colore bianco. Si presentano sempre avvolti in carta colorata e con una forma meno tondeggiante, più schiacciata.
Anche i Bucconettes presentano delle attinenze con i Gueffus. Sempre avvolti nella carta velina, sono preparati con nocciole tritate, miele sardo e aromi naturali.
TRUTA DE MENDULA
La Truta de Mendula è una sofficissima torta di mandorle preparata con della semplice farina di mandorle e fecola profumata con il limone. È considerata un tipico dolce da cerimonia, in quanto la ghiaccia reale si presta ad essere decorata finemente con motivi astratti in rilievo ma anche con uccellini, fiori e altri elementi naturali realizzati con lo zucchero. Una curiosità: a Quartu Sant’Elena, Cagliari, la glassatura viene solitamente eseguita con lo zucchero cotto a caldo e a mano con il pennello.
GATEAU DI MANDORLE
Il Gateau di mandorle (Su Gattò de mendula) è un dolce croccante aromatizzato al limone. Citato più volte anche da Grazia Deledda, presenta, generalmente una forma romboidale, senza decorazioni. Tuttavia, non è raro che durante i matrimoni le sagre di paese venga portato in piazza una vera e propria scultura (castelli di gateau). Il nome è di chiara origine francese e, con ogni probabilità, introdotto sull’Isola dai Piemontesi, che alla fine del Settecento spostarono la loro corte a Cagliari. Tuttavia, va precisato che in sardo questa parola non fa riferimento ai dolci, ma quasi esclusivamente al croccante di mandorle. Per quanto riguarda gli ingredienti, esistono principalmente varianti:
• con le mandorle intere e con le mandorle a filetti
• col succo di limone e con la scorza di limone grattugiata
• con aggiunta di miele
ARANZADA
S’Aranzada è un raffinato dolcetto delle feste che per certi versi ricorda il Gateau di mandorle. Tipico della provincia di Nuoro consiste, semplicemente, in sottili strisce di scorza d’arancia candite col miele, con l’aggiunta di mandorle pelate, leggermente tostate e tagliate a listarelle.
Le sue origine sono molto antiche, ma nel 1886, il celebre pasticcere nuorese Battista Guiso brevettò la ricetta, chiamandola aranzada nugoresa, rendendola famosa in tutta Europa. L’Antica Fabbrica del Dolce nuorese, infatti, riuscì a portare l’Aranzada sulle tavole dei Savoia e della famiglia reale inglese. Oggi esistono diverse varianti di aranzada e queste sono le più note:
– di Nuoro (Nugoresa)
– di Siniscola
– di Dorgali
La ricetta originale prevede che la scorza dell’arancia venga tagliata in grossi spicchi e che si aggiungano nel composto, durante la fase di canditura con miele o sciroppo di zucchero e miele, mandorle intere, pelate e tostate; infine, a cottura ultimata, il composto viene rovesciato su un piano di legno e steso in uno strato di circa un centimetro di spessore per essere tagliato, una volta raffreddato, a piccoli pezzi romboidali quasi fosse una sorta di torrone di consistenza gommosa.